Disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica, a norma dell’articolo 11 della legge 29 settembre 2000, n. 300
(G.U. n. 140, 19 giugno 2001, Serie Generale)

IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA

Visti gli articoli 76 e 87 della Costituzione;
Visto l’articolo 14 della legge 23 agosto 1988, n. 400;
Visti gli articoli 11 e 14 della legge 29 settembre 2000, n. 300, che delega il Governo ad adottare, entro otto mesi dalla sua entrata in vigore, un decreto legislativo avente ad oggetto la disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche e delle società, associazioni od enti privi di personalità giuridica che non svolgono funzioni di rilievo costituzionale secondo i principi e criteri direttivi contenuti nell’articolo 11;
Vista la preliminare deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione dell’11 aprile 2001;
Acquisiti i pareri delle competenti commissioni permanenti del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati, a norma dell’articolo 14, comma 1, della citata legge 29 settembre 2000, n. 300;
Vista la deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del 2 maggio 2001;
Sulla proposta del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dell’industria, del commercio e dell’artigianato e del commercio con l’estero, con il Ministro per le politiche comunitarie e con il Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica;

E m a n a

il seguente decreto legislativo:

CAPO I
RESPONSABILITA’ AMMINISTRATIVA DELL’ENTE
SEZIONE I

Principi generali e criteri di attribuzione della responsabilità amministrativa

Art. 1. – Soggetti

1. Il presente decreto legislativo disciplina la responsabilità degli enti per gli illeciti amministrativi dipendenti da reato.
2. Le disposizioni in esso previste si applicano agli enti forniti di personalita giuridica e alle società e associazioni anche prive di personalità giuridica.
3. Non si applicano allo Stato, agli enti pubblici territoriali, agli altri enti pubblici non economici nonché agli enti che svolgono funzioni di rilievo costituzionale.

Art. 2. – Principio di legalità

1. L’ente non può essere ritenuto responsabile per un fatto costituente reato se la sua responsabilità amministrativa in relazione a quel reato e le relative sanzioni non sono espressamente previste da una legge entrata in vigore prima della commissione del fatto.

Art. 3. – Successione di leggi

1. L’ente non può essere ritenuto responsabile per un fatto che secondo una legge posteriore non costituisce più reato o in relazione al quale non è più prevista la responsabilità amministrativa dell’ente, e, se vi è stata condanna, ne cessano l’esecuzione e gli effetti giuridici.
2. Se la legge del tempo in cui è stato commesso l’illecito e le successive sono diverse, si applica quella le cui disposizioni sono più favorevoli, salvo che sia intervenuta pronuncia irrevocabile.
3. Le disposizioni dei commi 1 e 2 non si applicano se si tratta di leggi eccezionali o temporanee.

Art. 4. – Reati commessi all’estero

1. Nei casi e alle condizioni previsti dagli articoli 7, 8, 9 e 10 del codice penale, gli enti aventi nel territorio dello Stato la sede principale rispondono anche in relazione ai reati commessi all’estero, purché nei loro confronti non proceda lo Stato del luogo in cui è stato commesso il fatto.
2. Nei casi in cui la legge prevede che il colpevole sia punito a richiesta del Ministro della giustizia, si procede contro l’ente solo se la richiesta è formulata anche nei confronti di quest’ultimo.

Art. 5. – Responsabilità dell’ente

1. L’ente è responsabile per i reati commessi nel suo interesse o a suo vantaggio:
a) da persone che rivestono funzioni di rappresentanza, di amministrazione o di direzione dell’ente o di una sua unità organizzativa dotata di autonomia finanziaria e funzionale nonché da persone che esercitano, anche di fatto, la gestione e il controllo dello stesso;
b) da persone sottoposte alla direzione o alla vigilanza di uno dei soggetti di cui alla lettera a).
2. L’ente non risponde se le persone indicate nel comma 1 hanno agito nell’interesse esclusivo proprio o di terzi.

Art. 6. – Soggetti in posizione apicale e modelli di organizzazione dell’ente

1. Se il reato è stato commesso dalle persone indicate nell’articolo 5, comma 1, lettera a), l’ente non risponde se prova che:
a) l’organo dirigente ha adottato ed efficacemente attuato, prima della commissione del fatto, modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi;
b) il compito di vigilare sul funzionamento e l’osservanza dei modelli di curare il loro aggiornamento è stato affidato a un organismo dell’ente dotato di autonomi poteri di iniziativa e di controllo;
c) le persone hanno commesso il reato eludendo fraudolentemente i modelli di organizzazione e di gestione;
d) non vi è stata omessa o insufficiente vigilanza da parte dell’organismo di cui alla lettera b).
2. In relazione all’estensione dei poteri delegati e al rischio di commissione dei reati, i modelli di cui alla lettera a), del comma 1, devono rispondere alle seguenti esigenze:
a) individuare le attività nel cui ambito possono essere commessi reati;
b) prevedere specifici protocolli diretti a programmare la formazione e l’attuazione delle decisioni dell’ente in relazione ai reati da prevenire;
c) individuare modalità di gestione delle risorse finanziarie idonee ad impedire la commissione dei reati;
d) prevedere obblighi di informazione nei confronti dell’organismo deputato a vigilare sul funzionamento e l’osservanza dei modelli;
e) introdurre un sistema disciplinare idoneo a sanzionare il mancato rispetto delle misure indicate nel modello.
3. I modelli di organizzazione e di gestione possono essere adottati, garantendo le esigenze di cui al comma 2, sulla base di codici di comportamento redatti dalle associazioni rappresentative degli enti, comunicati al Ministero della giustizia che, di concerto con i Ministeri competenti, può formulare, entro trenta giorni, osservazioni sulla idoneità dei modelli a prevenire i reati.
4. Negli enti di piccole dimensioni i compiti indicati nella lettera b), del comma 1, possono essere svolti direttamente dall’organo dirigente.
5. E’ comunque disposta la confisca del profitto che l’ente ha tratto dal reato, anche nella forma per equivalente.

Art. 7. – Soggetti sottoposti all’altrui direzione e modelli di organizzazione dell’ente

1. Nel caso previsto dall’articolo 5, comma 1, lettera b), l’ente è responsabile se la commissione del reato è stata resa possibile dall’inosservanza degli obblighi di direzione o vigilanza.
2. In ogni caso, è esclusa l’inosservanza degli obblighi di direzione o vigilanza se l’ente, prima della commissione del reato, ha adottato ed efficacemente attuato un modello di organizzazione, gestione e controllo idoneo a prevenire reati della specie di quello verificatosi.
3. Il modello prevede, in relazione alla natura e alla dimensione dell’organizzazione nonché al tipo di attività svolta, misure idonee a garantire lo svolgimento dell’attività nel rispetto della legge e a scoprire ed eliminare tempestivamente situazioni di rischio.
4. L’efficace attuazione del modello richiede:
a) una verifica periodica e l’eventuale modifica dello stesso quando sono scoperte significative violazioni delle prescrizioni ovvero quando intervengono mutamenti nell’organizzazione o nell’attività;
b) un sistema disciplinare idoneo a sanzionare il mancato rispetto delle misure indicate nel modello.

Art. 8. – Autonomia delle responsabilità dell’ente

1. La responsabilità dell’ente sussiste anche quando:
a) l’autore del reato non è stato identificato o non è imputabile;
b) il reato si estingue per una causa diversa dall’amnistia.
2. Salvo che la legge disponga diversamente, non si procede nei confronti dell’ente quando è concessa amnistia per un reato in relazione al quale è prevista la sua responsabilità e l’imputato ha rinunciato alla sua applicazione.
3. L’ente può rinunciare all’amnistia.

SEZIONE II
Sanzioni in generale

 

Art. 9. – Sanzioni amministrative

1. Le sanzioni per gli illeciti amministrativi dipendenti da reato sono:
a) la sanzione pecuniaria;
b) le sanzioni interdittive;
c) la confisca;
d) la pubblicazione della sentenza.
2. Le sanzioni interdittive sono:
a) l’interdizione dall’esercizio dell’attività;
b) la sospensione o la revoca delle autorizzazioni, licenze o concessioni funzionali alla commissione dell’illecito;
c) il divieto di contrattare con la pubblica amministrazione, salvo che per ottenere le prestazioni di un pubblico servizio;
d) l’esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi e l’eventuale revoca di quelli già concessi;
e) il divieto di pubblicizzare beni o servizi.

Art. 10. – Sanzione amministrativa pecuniaria

1. Per l’illecito amministrativo dipendente da reato si applica sempre la sanzione pecuniaria.
2. La sanzione pecuniaria viene applicata per quote in un numero non inferiore a cento né superiore a mille.
3. L’importo di una quota va da un minimo di euro 258 (lire cinquecentomila) ad un massimo di euro 1.549 (lire tre milioni).
4. Non è ammesso il pagamento in misura ridotta.

Art. 11. – Criteri di commisurazione della sanzione pecuniaria

1. Nella commisurazione della sanzione pecuniaria il giudice determina il numero delle quote tenendo conto della gravità del fatto, del grado della responsabilità dell’ente nonché dell’attività
svolta per eliminare o attenuare le conseguenze del fatto e per prevenire la commissione di ulteriori illeciti.
2. L’importo della quota è fissato sulla base delle condizioni economiche e patrimoniali dell’ente allo scopo di assicurare l’efficacia della sanzione.
3. Nei casi previsti dall’articolo 12, comma 1, l’importo della quota è sempre di euro 103 (lire duecentomila).

Art. 12. – Casi di riduzione della sanzione pecuniaria

1. La sanzione pecuniaria è ridotta della metà e non può comunque essere superiore a euro 103291 (lire duecento milioni) se:
a) l’autore del reato ha commesso il fatto nel prevalente interesse proprio o di terzi e l’ente non ne ha ricavato vantaggio o ne ha ricavato un vantaggio minimo;
b) il danno patrimoniale cagionato è di particolare tenuità;
2. La sanzione è ridotta da un terzo alla metà se, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado:
a) l’ente ha risarcito integralmente il danno e ha eliminato le conseguenze dannose o pericolose del reato ovvero si è comunque efficacemente adoperato in tal senso;
b) è stato adottato e reso operativo un modello organizzativo idoneo a prevenire reati della specie di quello verificatosi.
3. Nel caso in cui concorrono entrambe le condizioni previste dalle lettere del precedente comma, la sanzione è ridotta dalla metà ai due terzi.
4. In ogni caso, la sanzione pecuniaria non può essere inferiore a euro 10.329 (lire venti milioni).

Art. 13. – Sanzioni interdittive

1. Le sanzioni interdittive si applicano in relazione ai reati per i quali sono espressamente previste, quando ricorre almeno una delle seguenti condizioni:
a) l’ente ha tratto dal reato un profitto di rilevante entità e il reato è stato commesso da soggetti in posizione apicale ovvero da soggetti sottoposti all’altrui direzione quando, in questo caso, la commissione del reato è stata determinata o agevolata da gravi carenze organizzative;
b) in caso di reiterazione degli illeciti.
2. Le sanzioni interdittive hanno una durata non inferiore a tre mesi e non superiore a due anni.
3. Le sanzioni interdittive non si applicano nei casi previsti dall’articolo 12, comma 1.

Art. 14. – Criteri di scelta delle sanzioni interdittive

1. Le sanzioni interdittive hanno ad oggetto la specifica attività alla quale si riferisce l’illecito dell’ente. Il giudice ne determina il tipo e la durata sulla base dei criteri indicati nell’articolo 11, tenendo conto dell’idoneità delle singole sanzioni a prevenire illeciti del tipo di quello commesso.
2. Il divieto di contrattare con la pubblica amministrazione può anche essere limitato a determinati tipi di contratto o a determinate amministrazioni. L’interdizione dall’esercizio di un’attività comporta la sospensione ovvero la revoca delle autorizzazioni, licenze o concessioni funzionali allo svolgimento dell’attività.
3. Se necessario, le sanzioni interdittive possono essere applicate congiuntamente.
4. L’interdizione dall’esercizio dell’attività si applica soltanto quando l’irrogazione di altre sanzioni interdittive risulta inadeguata.

Art. 15. – Commissario giudiziale

1. Se sussistono i presupposti per l’applicazione di una sanzione interdittiva che determina l’interruzione dell’attività dell’ente, il giudice, in luogo dell’applicazione della sanzione, dispone la prosecuzione dell’attività dell’ente da parte di un commissario per un periodo pari alla durata della pena interdittiva che sarebbe stata applicata, quando ricorre almeno una delle seguenti condizioni:
a) l’ente svolge un pubblico servizio o un servizio di pubblica necessità la cui interruzione può provocare un grave pregiudizio alla collettività;
b) l’interruzione dell’attività dell’ente può provocare, tenuto conto delle sue dimensioni e delle condizioni economiche del territorio in cui è situato, rilevanti ripercussioni sull’occupazione.
2. Con la sentenza che dispone la prosecuzione dell’attività, il giudice indica i compiti ed i poteri del commissario, tenendo conto della specifica attività in cui è stato posto in essere l’illecito da parte dell’ente.
3. Nell’ambito dei compiti e dei poteri indicati dal giudice, il commissario cura l’adozione e l’efficace attuazione dei modelli di organizzazione e di controllo idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi. Non può compiere atti di straordinaria amministrazione senza autorizzazione del giudice.
4. Il profitto derivante dalla prosecuzione dell’attività viene confiscato.
5. La prosecuzione dell’attività da parte del commissario non può essere disposta quando l’interruzione dell’attività consegue all’applicazione in via definitiva di una sanzione interdittiva.

Art. 16. – Sanzioni interdittive applicate in via definitiva

1. Può essere disposta l’interdizione definitiva dall’esercizio dell’attività se l’ente ha tratto dal reato un profitto di rilevante entità ed è già stato condannato, almeno tre volte negli ultimi sette anni, alla interdizione temporanea dall’esercizio dell’attività.
2. Il giudice può applicare all’ente, in via definitiva, la sanzione del divieto di contrattare con la pubblica amministrazione ovvero del divieto di pubblicizzare beni o servizi quando è già stato condannato alla stessa sanzione almeno tre volte negli ultimi sette anni.
3. Se l’ente o una sua unità organizzativa viene stabilmente utilizzato allo scopo unico o prevalente di consentire o agevolare la commissione di reati in relazione ai quali è prevista la sua responsabilità è sempre disposta l’interdizione definitiva dall’esercizio dell’attività e non si applicano le disposizioni previste dall’articolo 17.

Art. 17. – Riparazione delle conseguenze del reato

1. Ferma l’applicazione delle sanzioni pecuniarie, le sanzioni interdittive non si applicano quando, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, concorrono le seguenti condizioni:
a) l’ente ha risarcito integralmente il danno e ha eliminato le conseguenze dannose o pericolose del reato ovvero si è comunque efficacemente adoperato in tal senso;
b) l’ente ha eliminato le carenze organizzative che hanno determinato il reato mediante l’adozione e l’attuazione di modelli organizzativi idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi;
c) l’ente ha messo a disposizione il profitto conseguito ai fini della confisca.

Art. 18. – Pubblicazione della sentenza di condanna

1. La pubblicazione della sentenza di condanna può essere disposta quando nei confronti dell’ente viene applicata una sanzione interdittiva.
2. La sentenza è pubblicata una sola volta, per estratto o per intero, in uno o più giornali indicati dal giudice nella sentenza nonché mediante affissione nel comune ove l’ente ha la sede principale.
3. La pubblicazione della sentenza è eseguita, a cura della cancelleria del giudice, a spese dell’ente.

Art. 19. – Confisca

1. Nei confronti dell’ente è sempre disposta, con la sentenza di condanna, la confisca del prezzo o del profitto del reato, salvo che per la parte che può essere restituita al danneggiato. Sono fatti salvi i diritti acquisiti dai terzi in buona fede.
2. Quando non è possibile eseguire la confisca a norma del comma 1, la stessa può avere ad oggetto somme di denaro, beni o altre utilità di valore equivalente al prezzo o al profitto del reato.

Art. 20. – Reiterazione

1. Si ha reiterazione quando l’ente, già condannato in via definitiva almeno una volta per un illecito dipendente da reato, ne commette un altro nei cinque anni successivi alla condanna definitiva.

Art. 21. – Pluralità di illeciti

1. Quando l’ente è responsabile in relazione ad una pluralità di reati commessi con una unica azione od omissione ovvero commessi nello svolgimento di una medesima attività e prima che per uno di essi sia stata pronunciata sentenza anche non definitiva, si applica la sanzione pecuniaria prevista per l’illecito più grave aumentata fino al triplo. Per effetto di detto aumento, l’ammontare della sanzione pecuniaria non può comunque essere superiore alla somma delle sanzioni applicabili per ciascun illecito.
2. Nei casi previsti dal comma 1, quando in relazione a uno o più degli illeciti ricorrono le condizioni per l’applicazione delle sanzioni interdittive, si applica quella prevista per l’illecito più grave.

Art. 22. – Prescrizione

1. Le sanzioni amministrative si prescrivono nel termine di cinque anni dalla data di consumazione del reato.
2. Interrompono la prescrizione la richiesta di applicazione di misure cautelari interdittive e la contestazione dell’illecito amministrativo a norma dell’articolo 59.
3. Per effetto della interruzione inizia un nuovo periodo di prescrizione.
4. Se l’interruzione è avvenuta mediante la contestazione dell’illecito amministrativo dipendente da reato, la prescrizione non corre fino al momento in cui passa in giudicato la sentenza che definisce il giudizio.

Art. 23. – Inosservanza delle sanzioni interdittive

1. Chiunque, nello svolgimento dell’attività dell’ente a cui è stata applicata una sanzione o una misura cautelare interdittiva trasgredisce agli obblighi o ai divieti inerenti a tali sanzioni o misure, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni.
2. Nel caso di cui al comma 1, nei confronti dell’ente nell’interesse o a vantaggio del quale il reato è stato commesso, si applica la sanzione amministrativa pecuniaria da duecento e seicento quote e la confisca del profitto, a norma dell’articolo 19.
3. Se dal reato di cui al comma 1, l’ente ha tratto un profitto rilevante, si applicano le sanzioni interdittive, anche diverse da quelle in precedenza irrogate.